SUONI & DINTORNI

Qualità significa fare le cose bene quando nessuno ti sta guardando.
(Henry Ford)

 

«Durante la mia collaborazione con le riviste di settore, ho avuto modo di provare parecchi cavi audio, un po’ di tutti i marchi e da tutti i prezzi.

Proprio come per le apparecchiature di produzione industriale, mio malgrado, anche nei cavi audio mi sono sempre trovato a riscontrare quella mediocrità di fondo che finiscono per accomunarli sulle medesime limitazioni, tranne forse alcuni modelli di costo proibitivo.

Tra l’uno e l’altro sono certamente riscontrabili differenze timbriche, anche marcate: quello più cupo, quello più dettagliato, esteso in alto, equilibrato sul medio o con la gamma bassa più solida e potente. Dunque scegliendo con attenzione è possibile mettere insieme il set di cavi più adatto per il proprio impianto. Ma sempre e solo sotto il profilo timbrico.

Quando si cerca di andare oltre a quello che a tutti gli effetti è soltanto il parametro di base e più superficiale, atto a caratterizzare le prerogative della riproduzione sonora, sembra di sbattere con la testa contro un soffitto: più su di tanto non è possibile andare.

All’atto pratico, il plafond delle caratteristiche di quasi tutti i cavi di produzione industriale non solo determina uno scadimento evidente della sonorità dell’impianto, ma causa anche un fenomeno ancora peggiore: oltre certi limiti rendono sostanzialmente inutile la ricerca di miglioramento effettuata mediante il cambio dei componenti dell’impianto con altri via via più raffinati. Certo, un cambiamento passando dall’uno all’altro lo si continua a percepire, ma sempre restando entro limiti prestazionali ben precisi, dati appunto dal collo di bottiglia rappresentato dal sistema di cavi utilizzato che non permette ai componenti dell’impianto di esprimere fino in fondo il loro potenziale.

Questo è un altro dei motivi per cui gli appassionati continuano a cambiare apparecchiature su apparecchiature, andando incontro a spese talvolta significative, per restare molto spesso insoddisfatti.

In sostanza ciò avviene perché cercano la soluzione dei difetti del loro impianto in elementi che hanno a che fare con essi solo in parte. Viene insomma a delinearsi un limite sostanzialmente invalicabile, qualsiasi cosa si faccia e peraltro abbastanza basso, soprattutto in relazione alle quantità di denaro considerevoli investite nell’impianto.

Le conseguenze di quel limite sono date dal conferire alla sonorità dell’impianto la prerogativa facilmente riconoscibile di riproduzione che quindi è senza vita e realismo: volendo esagerare, ma neanche troppo, sembra di essere di fronte a una grossa radio, con tutti i risvolti del caso.

Quando si cerca in qualche modo di forzare quei limiti, non di rado si finisce a sonorità fortemente esasperate, quindi, se possibile, ancora più artificiali. Un esempio tipico lo si riscontra in alcune salette delle mostre di settore, nelle quali personalmente non riesco a resistere più di qualche minuto, dato che i suoni che in esse vengono emessi mi causano mal di orecchie e di testa.

Una volta preso atto che il sistema dei cavi può produrre un limite invalicabile alle prestazioni dell’impianto, e che quello indotto dai cavi di produzione commerciale e prezzo terreno pone questo limite piuttosto in basso, mi restavano due possibilità: cercare di acquistarne di più costosi, oppure cercare di sopravanzarlo per conto mio.

La seconda opzione era quella obbligata.

Se questo era il dato di fatto, dal mio punto di vista, il punto di partenza è l’inutilità di scimmiottare le soluzioni tipiche dei cavi industriali, per quanto rinomati e riveriti: era chiaro che se volevo andare oltre i loro limiti dovevo fare qualcosa di radicalmente diverso.

Fare qualcosa di diverso significava iniziare a prendere in considerazione l’eventualità che ci fosse qualcosa che va oltre R-L-C, resistenza, induttanza e capacità, ufficialmente ritenuti i soli parametri influenti sulle prestazioni di un cavo.

Del resto se quelli realizzati secondo tale legge e ottimizzandone per quanto possibile i parametri dimostrano con tanta evidenza i loro limiti, ci deve essere per forza qualche altra cosa. Affrontando la questione in questi termini ho ritenuto di individuare una serie di elementi in genere trascurati nella realizzazione dei cavi destinati all’impiego in campo audio.

Quindi mi sono messo all’opera per vedere se le mie intuizioni potevano avere anche un vago legame con la realtà.

Ho iniziato con il realizzare un cavo per diffusori.
E’ stato di sicuro per una botta di fortuna, ma quando l’ho collegato ha dimostrato di essere molto diverso da tutto quello che avevo avuto modo di provare fino ad allora. In particolare la sensazione che subito ha catturato la mia attenzione è stata la mancanza plateale di un qualcosa cui ero talmente abituato da non rendermi più neppure conto della sua presenza. Nello stesso tempo, lo spazio a disposizione per la sonorità degli strumenti appariva aumentato e divenuto più realistico. Mi scuso se adopero un termine simile, ma davvero non so come definire in modo più appropriato quella sensazione.

Proseguendo con l’ascolto sono pian piano riuscito a prendere le misure a quello cui mi trovavo di fronte. L’elemento mancante era quella che chiamerei una sorta di nebbia elettrica, dato che non mi viene un altro termine con cui definirla, indotta da qualsiasi cavo che avevo provato fino ad allora, nessuno escluso. La sua presenza andava a mescolarsi con la sonorità degli strumenti e delle voci causandone innanzitutto l’intorbidimento, ma anche un senso di costrizione, non solo a livello timbrico ma anche dinamico, di dettaglio e naturalezza.

Cose, queste, di cui ci si rende conto solo una volta che si sono non dico eliminate, ma almeno ridotte sensibilmente nella loro entità. Si è abituati ad esse, essendo connaturate nella riproduzione sonora eseguita tramite i mezzi, diciamo così, tradizionali al punto tale che non ci si fa più caso. Insomma, ci si convive, senza più neppure rendersene conto.

Proprio come uno che è nato in una grande città, e non si è mai mosso di lì, è talmente abituato a respirarne l’aria inquinata che non se ne accorge nemmeno. Però se lo si porta in montagna, non a fondo valle ma in cima alla funivia, lo capisce eccome. Appena scende dalla cabina la differenza la coglie all’istante, già al primo respiro. L’aria è più tersa, pulita, frizzante, respirarla procura addirittura piacere e con essa ci si riempiono i polmoni: sembra di non averne mai abbastanza.

Ecco, se mi si passa il paragone, eliminando quella sorta di nebbia elettrica, o comunque riducendone l’entità in maniera significativa, la sensazione può essere simile: resta più spazio per far esprimere la sonorità degli strumenti, con maggiore nitidezza, dinamica, tridimensionalità, facilità di cogliere il dettaglio.

A quel punto non restava che fare una controprova: applicare i principi utilizzati per quel cavo di potenza anche a cavi di segnale. E poi di alimentazione e digitali.

Ogni volta che se ne aggiungeva uno, quella sensazione di liberazione aumentava, fino a che, arrivato a eliminare anche l’ultimo cavo “tradizionale”, il miglioramento è stato di un multiplo rispetto a quello verificato con il primo.

L’esperimento descritto l’ho ripetuto diverse volte, con impianti diversi e soggetti diversi, anche a loro insaputa, arrivando sempre alle stesse conclusioni. Uno di loro, mano a mano che sostituiva uno dopo l’altro i cavi di segnale nel suo impianto, a ogni nuovo esemplare mi diceva: “Ogni volta che mi porti un nuovo cavo va meglio di quello precedente!” Eppure il cavo era fatto sempre allo stesso modo.

Così il salto di qualità che si ottiene con l’ultimo cavo sostituito è sempre molto maggiore di quello verificato con i precedenti, anche se via via che si aggiungono gli uni agli altri la sensazione di miglioramento va sempre ad aumentare uno dopo l’altro.

Questo comporta un altro aspetto generalmente trascurato: i cavi presenti in un impianto nel loro insieme formano un sistema, esattamente come lo è l’impianto. Quindi un sistema nel sistema che come tale va considerato invece di prendere ogni volta in esame il singolo cavo.

Ciò ovviamente non significa che i cavi di un impianto vadano comperati o cambiati tutti insieme, anche se fare una prova in tal senso permette di cogliere al meglio le differenze tra un set e l’altro, ma che il processo di sostituzione dovrebbe avvenire in una prospettiva di sistema invece che limitandosi a valutare il singolo cavo volta per volta.

Fin qui una parte delle convinzioni che ho maturato in qualche anno dedicato alla realizzazione di cavi.

Termino col dire che i cavi di mia produzione si basano su modalità di realizzazione esclusivamente manuale, a partire dal trafilato grezzo in rame, rodio o argento, e sono disponibili nelle tipologie di alimentazione, interconnessione, potenza (per diffusori), digitali.

Ciascun modello può essere ulteriormente personalizzato in merito alle sue doti sonore, in base alle esigenze di chi lo andrà a utilizzare.»

Caruso Cables.
Progettista e detentore brevetto Cavi A/V HI-END CARUSO CABLES® Pura Melodia Italiana